Il Blue Tornado, una delle più spettacolari attrazioni di Gardaland |
Buongiorno a tutti,
Oggi vorrei condividere con voi una riflessione nata da una domanda che mi sono posta di ritorno da una gita a Gardaland.
Vi chiederete: "una riflessione su un parco-giochi"? Certo, chiunque ha trascinato i suoi genitori o i suoi amici ad un parco di divertimenti. Il perchè è semplice: in un modo o nell'altro finisce per accontentare tutti, grandi e piccini e la giornata scorre velocemente a suon di risate e in compagnia.
Quest'estate anche io ho avuto la mia esperienza da parcogiochi, un'esperienza che però mi ha abbastanza segnato: ore di ingresso 9,30 la mattina uscita ore 23,30. Abbiamo fatto tutti, dico davvero tutti i giochi, anche i trenini, tutto, anche più di una volta, tranne i giochi per bambini. Inutile dire che eravamo esausti una volta usciti.
Siamo partiti in sei: un gruppo giusto a mio avviso per potersi godere a pieno le varie attrazioni tutti assieme. Mi sono divertita, molto anche, ma come mi ha giustamente fatto notare una mia amica l'ottica con cui avevo deciso di affrontare la giornata era diversa rispetto a quella di parte dei miei amici: mi piaceva l'idea di provare le varie attrazioni, ma provate una volta (max max due) per me era sufficiente... Invece vedevo che c'erano alcune persone accanto a me che non desideravano altre che risalire ancora e ancora e ancora. Alle dieci di sera, dopo più di dodici ore di montagne russe, giochi d'acqua, file sotto il sole ero esausta, sfinita. Mi ritrovavo comunque in coda per l'ultima attrazione, il Mammut. Speravo, invano che i bambini ad un certo punto fossero stanchi e volessero andare a letto. E invece no, erano più arzilli di me; tiravano per le braccia i genitori che, bovinamente li seguivano perché sarebbe stato più faticoso dir loro di no che attendere passivamente in coda.
la formula dell'Adrenalina |
Questo argomento ha stimolato il mio interesse, per cui ho deciso di fare una ricerca sugli "amanti del brivido" e come in tutte le cose, ho scoperto che c'è una grande eterogeneità a riguardo: alcuni amano arrivare in stazione o in aeroporto sempre all'ultimo momento; sono perennemente in ritardo agli appuntamenti, specie a quelli che potrebbero cambiargli la vita; si presentano impreparati agli esami, attraversano col rosso, oppure giocano d'azzardo: alcuni si accontentano della roulette francese, altri si spingono fino a quella russa. Oppure ancora, frequentano sport estremi: passeggiano nell'oceano in compagnia di squali, si gettano da un aereo in caduta libera. Approcci differenti alla vita, persone diverse. Eppure, tutte accomunate dalla ricerca del rischio di perdere sempre e comunque qualcosa. Può apparire una forzatura accomunare chi non è mai puntuale con chi, guidando a fari spenti nella notte, rischia la vita. "Invece non lo è", ribatte decisa Valentina D'Urso, docente di Psicologia all'Università di Padova. "Il rischio può essere sinonimo di piacere. Negli esempi descritti questo nesso è più o meno evidente. In molte persone si manifesta solo in alcuni periodi della vita, in genere nell'adolescenza, in altre non si manifesta mai. E poi ci sono loro, i cosiddetti sensation seekers (cercatori di emozioni), ovvero persone con una "soglia di annoiabilità" molto più bassa degli altri. "Il fenomeno del sensation seeking", precisa Cesare Maffei, psichiatra, docente di Psicologia medica all'Università di Milano e direttore del Servizio di psicologia e psicoterapia del San Raffaele, "è la continua ricerca di stimolazioni sensoriali nuove, diverse, forti. Ed è legata a certi tratti temperamentali della personalità. Il sensation seeker per eccellenza è la personalità antisociale che non riesce a dilazionare il bisogno, non ha alcuna considerazione dei limiti della realtà. Ciò può anche finire per diventare una condizione borderline. Un esempio è la cleptomania, diffusa tra le donne. Spiega Maffei: "si ruba non per trarne vantaggio economico, ma per provare un piacere intenso come quello sessuale, molto vicino all'orgasmo".
La ricerca di emozioni forti non è però l'unico elemento a spingere verso la ricerca di situazioni rischiose. "C'è anche una costante ricerca di conferme", dice D'Urso, docente di Psicologia all'Università di Padova: "si è incerti sul proprio valore, che deve essere continuamente messo alla prova e confermato. Il rischio è come uno specchio, simile a quello della strega di Biancaneve". Paradossalmente, dunque, il rischio serve a rassicurare. "È una sorta di cura ricostituente della propria immagine", conferma D'Urso. "Dati recenti, raccolti tra un centinaio di studenti (60% donne e 40% uomini) della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova, suggeriscono inoltre che c'è anche un altro elemento: cercare la conferma di essere segnati dalla buona stella, che ti conferma "vincitore" ogni volta che superi un pericolo".
Dice D'Urso: "Vivere un'esperienza rischiosa produce una reazione molto simile a quella data da alcune droghe, in particolare dall'LSD, cioè un'esaltazione di tutte le percezioni: visive, tattili, olfattive, uditive, gustative". Sono numerosi gli esperimenti che lo dimostrano. Il più noto è stato condotto da psicologi dell'Università del Michigan e ripetuto, con variazione, da numerosi altri ricercatori. Ecco in cosa consiste: diversi ragazzi incontrano una ragazza, sempre la stessa, su un ponte sospeso. Per metà dei ragazzi, l'episodio si svolge in condizioni normali; per l'altra metà, al momento dell'incontro il ponte viene fatto ondeggiare pericolosamente, dando la sensazione che possa crollare da un momento all'altro. Ebbene, il secondo gruppo dei ragazzi, intervistati successivamente, ha evidentemente trovato la ragazza molto più attraente di quanto sia apparsa al primo. La conclusione? "Se oltre a provare emozioni forti" dice D'Urso "si vuole conquistare una ragazza, è meglio portarla sulle montagne russe piuttosto che a mangiare un gelato."
Quindi, cosa dà quella sensazione di piacere inebriante che spinge molti a cercare il pericolo ed il rischio? Le sostanze che, in risposta a questo stimolo, vengono rilasciate dalle nostre cellule nervose. Tutti, chi più, chi meno amiamo "drogarci" naturalmente, perfondere il nostro corpo di quelle sostanze che, in varia misura, danno un senso di benessere e di eccitazione, e accentuano la capacità di percepire ciò che accade intorno.
Per concludere, vorrei segnalarvi la lista-viaggi che ha redatto la Lonely Planet per tutti gli amanti della adrenalina: http://www.travelblog.it/post/10626/10-vacanze-avventurose-per-chi-ha-bisogno-di-adrenalina
Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Adrenalina
http://ilmiopsicologo.com/pagine/sensation_seekers_droga_condatta_disinimita_caccia_emozioni.aspx
http://www.travelblog.it/post/10626/10-vacanze-avventurose-per-chi-ha-bisogno-di-adrenalina
http://d.repubblica.it/dmemory/1997/01/14/attualita/emozioni/070adr3370.html
http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20090319115501AA5XVRt
Difficilmente nella vita di tutti i giorni, con la solita routine, si provano tali emozioni, e fino a quando non ci capita l'occasione non sappiamo cosa significhi. Però viviamo delle esperienze altrui, delle testimonianze di chi ha avuto la possibilità di provarle prima di noi, e ciò ci spinge a prendere la decisione di "rompere" la routine e desiderare questa fantomatica adrenalina.
RispondiEliminaI risultati sono quelli che tutti conoscono: grandi sacrifici (vedi code sotto il sole per tanti minuti) per nemmeno un minuto di sballo, ma la maggior parte delle volte, appena sceso dalla giostra, pensi che ne è valsa la pena, e non vedi l'ora di fare un altro giro (anche se la seconda volta è più difficile sopportare un'altra coda di un'ora).
Le montagne russe, il parapendio, il bungee jumping, il paracadutismo...tutti legati da questo senso di pericolo "previsto e voluto", che al giorno d'oggi è ciò che provoca il massimo del divertimento(?) e delle emozioni, proprio perchè la vita normale tendenzialmente non permette di raggiungere tali livelli. E l'uomo, si sa, vuole sempre di più, di qualsiasi cosa, non si accontenta mai di niente...arriveremo al punto che queste attrazioni non ci basteranno più, e ne cercheremo delle altre, ancora più rischiose e adrenaliniche...
il pericolo di questo bisogno di sentire l'adrenalina è il non poterne più fare a meno... come una droga insomma, con la fortuna che nessuno di noi si può permettere di andare a gardaland tutti i giorni... ed è una fortuna, ripeto, perchè se fosse a pochi km da casa e costasse quanto costa un bicchiere di whisky, ho il vago sospetto che molte persone passerebbero così tutti i sabati e le domeniche. Che c è di male? Direi il rischio di perdere il contatto con la realtà, con le VERE emozioni, che forse non ci fanno sentire spesso il cuore in gola, ma almeno sono legate a fatti e persone che esistono veramente. Non dimentichiamoci che un parco divertimenti è tutta una finzione: finte cascate, finti templi egiziani, finte montagne.... Forse una giornata a Gardaland ci fa sentire VIVI. Ma lo preferiamo a un bel viaggio alla scoperta di semplici, noiosi, non-adrenalinici posti in giro per il mondo?? Spero proprio di no!
RispondiEliminaCosicché un adrenaline junkie non dovrebbe mai finire per fare il broker altrimenti passerebbe la sua, seppur brevissima, carriera a rincorrere i soldi persi. Ma di fronte all'emozionale siamo tutti uguali, a meno di seguire training specifici. Quando vittime di rapimenti emotivi come quello che chimicamente così bene ed appassionatamente hai descritto ci è inevitabile perdere ogni contatto con un agire ponderato, razionale. Forse perché ci è neurologicamente inevitabile agire almeno parzialmente ed inizialmente in maniera irrazionale, forse a causa di qualche sottocorrente psichica autodistruttiva, autocurativa etc... o malinteso valore delle emozioni eccessivamente forti, non riusciamo ad evitare di rincorrerle.Siamo costantemente "swayati" dalla piccola mandorla tra tronco cerebrale e sistema limbico. Ma le sue "chiamate" sono purtroppo fin troppo spesso oltremodo sciatte, imprecise, infantili per sceglierle come leader, lobi prefrontali permettendo, perché queste emozioni "precognitive" altrimenti non avrebbero alcun senso. Oggi che ormai ci separa più di qualche anno dai nostri antenati protomammaliani forse dovremmo imparare a riconoscere e prendere coscienza di quel meccanismo comune a tutte quelle attività che hai citato e che troviamo intuitivamente così in qualche modo isomorfe dal taccheggio alla roulette russa ed imparare a sfruttarlo aspettando qualche millesimo di secondo in più. Si potrebbe obiettare pensando che quando la posta in gioco si fa alta, il rischio corso in quelle occasioni si fa pericoloso, si tenda a tenersi dalla parte dei bottoni o almeno a mettere in dubbio di aver ragione, ma è proprio in questo momento che il rapimento emotivo, l'esplosione emozionale i veri e propri limitatori della realizzazione umana si concretizzano e ci fanno prendere decisioni sempre più rischiose, ma rischiose non significa agire nel modo sbagliato, ma anche non agire. Basta la paura della perdita, ad esempio, quell'avversione così viscerale a costituire quel substrato necessario e sufficiente per agire irrazionalmente. E' sufficiente sentirsi euforici, puniti ingiustamente, in colpa o romantici per influenzare completamente il repertorio dal quale traiamo gli elementi per costituire il pensiero che sfuggendo dal controllo rende i dettagli del contesto vitale per il significato emozionale che l'ippocampo timidamente suggerisce completamente ininfluenti, la memoria diventa selettiva, il pensiero si fa personalizzato e categorico nel tentativo di autoconvalidare la convinzione di star agendo nel modo giusto. Le forti emozioni hanno un cervello proprio.
RispondiEliminaAlcuni ricordi e reazioni emotive si possono formare senza alcuna partecipazione cognitiva cosciente, si possono archiviare ricordi dei quali non abbiamo mai una conoscenza pienamente consapevole ed è per questo che alle volte esperiamo forti sensazioni caotiche che non sappiamo verbalizzare. E' forse la ricerca dell'assenza di limiti piuttosto che l'autoaffermazione a spingerci ad agire così irrazionalmente e razionalizzare in questi casi? NO. Molto più meramente è la fallacia del sistema associativo con cui l'amigdala vero e proprio centro delle emozioni, arcaica quanto il rinencefalo, scatena lo stesso modello reattivo, rischiando così di avvicinarci a situazioni rischiosissime ed allontanarci ancor più spesso da altre insostituibili, se queste condivido sfumature simili. Rischiamo così per colpa di quei pochi grammi di cervello e dei meccanismi che scatena i quali coinvolgono ghiandole, nervi e catecolamine che hai citato di attribuire davvero troppo significato ad alcuni ricordi per colpa del significato emozionale che questa attribuisce loro. Ma a termine di tutte queste riflessioni si può forse dubitare della magnificenza della sensazione che si prova a farsi trasportare dalle forti emozioni? Senza alcun dubbio NO a patto che queste non ci allontanino dagli obiettivi della nostra vita. Per chiudere uno dei più lunghi commenti di blogspot ti faccio i complimenti per il blog davvero straordinariamente interessante, non vedo l'ora di continuare a leggerlo.
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