Andiamo alla mostra di Hirst, usciamo, scattiamo una foto tutti insieme, come ricordo della piacevole mattinata trascorsa. Mentre ancora sorridiamo davanti alla macchina fotografica ecco comparire una gentile signora.
Un attimo: la signora indica l’immagine su libro (“that’s my husband!”). Rimaniamo senza parole. Lo invitiamo a scattare una foto con noi. Chissà da dove proveniva. Her husband è colui che ha incastonato le pietre sul prezioso teschio di Hirst (vedi post prima Assignment 3: Coltivare le connessioni (1) "L’icona della morte? È Glamourous-->il proseguo)
Gli chiedo di scattare una foto tutti assieme e lui acconsente. E così la pubblico sul blog, la rendo accessibile a tutti. Ho provato, ricercando su internet, a trovare il suo nome. Ancora non che l’ho fatta, ma nel caso ci riuscissi, potrei inserirlo nel blog e forse lui potrebbe risalire a questo post che ho da poco tempo pubblicato. E forse potrebbe (dalla sua dimora… forse negli Stati Uniti?) mettersi in contatto con noi, in Italia, a Firenze, esprimendo il suo piacere per la singolare circostanza, oppure manifestando i suo dissenso per la pubblicazione della foto. E così, attraverso internet, mediante un’immagine che (come ci disse una nota marca di telefonini, solo dieci anni fa, quando il telefono sapeva solo chiamare le persone) “comunica più di mille parole”, avremmo stabilito una connessione.
In un’altra circostanza, magari analoga a questo evento sarebbe potuto diventare un modo per intrecciare nuovi rapporti, cominciare a scambiarci idee, accrescerci dal punto di vista umano e conoscitivo. E mentre ancora mi interrogo, cercando di capire se mai questa connessione troverà il lieto fine non posso fare a men di affermare: “che straordinario strumento è internet”. Alla fine non ho messo in atto alcuna particolare conoscenza per cercare di “chiudere questo circuito”: non ho dovuto studiare per capire come scattare la foto, caricarla su internet e scrivere un post a riguardo. Osservando gli altri, procedendo per tentativi e per errori (e perché no, anche arrabbiandomi alle volte perché ciò che mi figuravo in testa non riuscivo a renderlo nello cyberspazio) sono riuscita a farlo. Qualcuno potrebbe chiedersi “a cosa è utile tutto ciò?”. A stabilire delle connessioni. A creare nuovi rapporti con le persone affinché possano trasmetterci qualcosa, insegnarci qualcosa, comunicarci qualcosa.
Cercando di immaginare come tutto ciò potrebbe risultarci utile dal punto di vista didattico, mi viene in mente un episodio della mia amata serie televisiva di Grey’s Anatomy: la dottoressa Bailey (chirurgo) decide di prender parte a un esprimendo, eseguendo interventi “in diretta” su twitter. Alcuni specializzandi la assistono durante l’intervento, una telecamera riprende quanto stia accadendo (dopo che il paziente ha opportunamente firmato il consenso) e altri studenti tengono in mano dei telefonini con i quali rispondono ad altri studenti (connessi, via internet chissà dove) che stanno seguendo l’intervento a scopo didattico. Addirittura vi è una scena in cui un collega chirurgo (seduto alla scrivania del suo studio, chissà da quale ospedae) durante una fase critica dell’intervento propone, via twitter, una risoluzione, complicata, ma che sarebbe in grado di salvare la via al paziente. E così il paziente si salva.
È questa la prima immagine che mi è venuta in mente dopo la lettura del pamphlet del professore “Collegare le connessioni”. Gli spunti di riflessione sono tanti, le cose da dire sarebbero altrettante, l’immagine che è apparsa chiara nella mia mente alla lettura del testo è quest’ultima sopra descritta.
Leggo (nel testo del professore) e riscontro come una realtà toccabile con mano che stiamo perdendo il contatto con tutto ciò che è vivente. Andiamo a scuola cercando di inserire una serie di nozioni nella nostra mente come se fosse un vaso da riempire. Con cosa? Non si sa. “Come non si sa!” “Beh poco importa se non hai capito. Domani c’è il compito. Torna a casa e studiati le 30 pagine a riguardo. Ah e domani sii in grado di ripeterle per bene. E cerca di prendere un bel voto. Perché si sa, la tua conoscenza è direttamente proporzionale al voto che hai preso, altrimenti a cosa servono i voti?” “Hai preso 10? Vorrà dire che hai capito tutto!” “Mah veramente ho capito poco… ma c’era il compito alle porte… mi sono imparato tutto a memoria…”
Dobbiamo cercare di opporci a questa tendenza che rischia, alla fine di far solo perdere del tempo, a sprecarlo in maniera inesorabile. Sì perché alla fine avremo imparato poco e così, settimana prossima ci sarà un altro compito. E così via…
Dobbiamo prendere atto di questa situazione e cercare di cambiarla. Come? Sfruttando gli strumenti a nostra disposizione, imparando a conoscere gli elementi protagonisti del nostro personal learning environment (unici, per ogni persona) e sfruttarli a pieno, affinichè quella serie di nozioni non vadano perse per sempre, ma diventino conoscenza. Chiunque dovrebbe tenerlo bene a mente, ma soprattutto noi che desidereremmo diventare dei buoni medici e non possiamo permettere che la nostra preparazione sia “vuota”, un voto di laurea eccellente, anche 110 e lode, ma vuoto in consistenza.
Attraverso questo corso abbiamo imparato che internet non è un contenitore di oggetti raccolti solo in maniera disordinata, contenente informazioni inutili o utili soltanto a pochi. C’è stato chi, prima di noi ha cercato di riunirli in maniera ordinata, mostrandoci il modo migliore per coltivare le nostre connessioni, il nostro giardino personale, rimanere sempre in contatto con ciò che più ci interessa attraverso i Feed RSS, attraverso PubMed che addirittura ci fornisce articoli d’avanguardia utili per i nostri studi, (non ancora del tutto purtroppo) accessibili, studiabili, confrontabili.
Facciamo un esempio: presso la nostra università purtroppo non ci è più possibile assistere a delle dissezioni. Nonostante le proteste di professori universitari, studenti più o meno avanti con gli anni, niente è stato smosso: la ex sala dissezioni della nostra Facoltà è ormai una sala come tante altre. Ma noi come faremo l’anno prossimo ad affrontare il complicato ed estremamente articolato studio dell’Anatomia? Come possiamo far sì che i rapporti tra gli organi e gli apparati non risultino solo una serie di nozioni apprese dalle pagine di un libro, sicuramente non sotto forma di immagini tridimensionali?
Beh, mentre attendiamo che le nostre lettere ottengano qualche riscontro a livello comunale possiamo usare internet, youtube, i numerosi siti che offrono video su dissezioni praticate magari in qualche college negli Stati Uniti. Possiamo sfruttare gli strumenti a nostra disposizione. Possiamo coltivare le nostre connessioni con studenti dall’altra parte del mondo, con le nostre stesse ansie di studenti alle prime armi. Possiamo così creare il nostro PLE e premetterci di camminare per il nostro bosco, passo dopo passo, da soli, ma forti del fatto che possiamo contare sull’aiuto degli altri. E se la conoscenza tramite tutto ciò che è vivente sta, piano piano svanendo tento, nel mio piccolo, di oppormi fin da adesso a questa tendenza, per evitare con tutte le mie forze di diventare un medico freddo, senza empatia che si nasconde dietro parole forbite e tecniche. E per fare ciò cerco il contatto con gli altri (praticando volontariato? Sforzandomi di imparare ad ascoltare le persone?), anche se questo contatto può non per forza pervenire dal diretto contatto con il vivente, ma tramite un oggetto, il computer e internet.